Il servizio di Paolo Ondarza


Abbiamo incontrato Massimo Toschi dell’Ufficio del Rappresentante Speciale del Segretario Generale sui Minori nei Conflitti Armati in occasione della giornata di proiezioni dedicate alla violenza sui minori da Amici dei Popoli e Human Rights Nights - il Festival del Cinema sui diritti umani che si è tenuto a Bologna e Forlì tra la fine di marzo e l’inizio di Aprile - e con lui abbiamo parlato della piaga dei bambini soldato e degli strumenti necessari a debellarla.

 
Bambini e soldati. Chi sono? Per chi combattono?
A farne piccoli e spietati combattenti sono in genere gli eserciti ribelli, ma spesso e volentieri a fare ricorso ai minori sono anche gli eserciti governativi. I bambini soldato nel mondo sono circa 300.000, per lo più si vengono impiegati in Africa, ma non mancano in altre aree del mondo come l’Asia, il Sud America e l’Europa. E, anche se può sembrare folle, non vengono impiegati solo in zone di guerra. In Sud America ad esempio costituiscono la mano armata delle bande che nelle favelas si combattono per il controllo dello spaccio di droga.

 
Ma perché gli eserciti arruolano i bambini?
Stiamo paradossalmente assistendo in questi anni ad una forma di imbarbarimento delle guerre che nascondono dietro a motivazione religiose, etniche o nazionaliste lo sfruttamento e i traffici illegali di risorse naturali. In questi conflitti sempre più spesso si trova coinvolta la popolazione civile, e soprattutto i bambini, contro ogni diritto internazionale umanitario. Utilizzare i bambini diventa poi una necessità laddove le guerre durano a lungo e bisogna rimpiazzare le perdite con reclute ubbidienti, poco costose e facilmente gestibili.
Infine c’è la tecnologia a venire in aiuto a questo genere di eserciti con armi automatiche sempre più leggere: così facili da usare che anche un bambino di 10 anni è in grado di maneggiare un kalashnikov con grande efficacia.

 
Che cosa ne è di questi bambini?
Per questi ragazzi sopravvivere alla guerra è molto difficile perché vengono impiegati per i compiti più pericolosi come l’attraversamento di campi minati o l’intrusione come spie nei campi nemici, o finiscono per diventare schiavi sessuali. La loro età unita all’effetto delle droghe e dell’alcol - di cui sono costretti a fare abbondante uso per essere più facilmente obbligati a fare ciò che gli adulti vogliono - li rende i soldati più pericoli e aggressivi che ci si possa trovare di fronte e questo li espone alla reazione violenta degli altri eserciti e spesso anche delle truppe di pace che rispondono immediatamente al fuoco invece di tentare di disarmarli.
A quelli che sopravvivono alla guerra, restano violente mutilazioni fisiche e psicologiche.

 
È vero che molti ragazzi di strada si arruolano volontariamente tra le fila dei ribelli?
È vero. Le adesioni volontarie sono meno di quelle coatte, ma ci sono; anche se non esistono dati sicuri circa la proporzione tra ragazzi che scelgono volontariamente le armi e coloro che invece sono costretti ad arruolarsi in seguito a rapimenti e torture. Nella Repubblica Democratica del Congo per esempio solo nel ’97 circa 5000 ragazzi si sono arruolati seguendo l’invito delle radio locali.
Si deve pensare però che in molti paesi africani, dove la guerra ha distrutto interi villaggi e costretto le comunità a spostarsi in villaggi temporanei di sfollati (internally displaced people) - come accade nel Nord Uganda - più che di ragazzi di strada bisogna parlare di ‘popolazioni di strada’. Le comunità di queste zone sono talmente violentate dalla guerra da essere assolutamente fragili e non in grado di costituire un riparo e una risorsa per molti bambini orfani o comunque soli. L’esercito invece, oltre a garantire cibo e protezione, offre a questi ragazzi un comunità forte di cui far parte; nell’esercito molti bambini trovano identità e famiglia.
In Africa, orfani o con famiglie estremamente povere e disagiate, molti ragazzi hanno nell’esercito la loro unica possibilità di sopravvivenza e di futuro.

 
Che cos’è l’Ufficio del Rappresentante Speciale del Segretario Generale sui Minori nei Conflitti Armati?
È un’agenzia che non ha compiti operativi o di intervento diretto in situazioni di conflitti armati che coinvolgono i bambini, ma che promuove l’attenzioni di governi e istituzioni sui temi dell’infanzia in guerra studiando e migliorando la legislazione internazionale in materia; monitorando i media e favorendo azioni di lobby tra le forze attive in questo campo.
L’agenzia è nata in seguito ad uno studio sull’effetto dei conflitti armati sui bambini affidato nel settembre del 1994 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Graça Machel - ministro dell’educazione in Mozambico - in veste di esperta. Dalle ricerche di Graça Machel emerse la necessità di una voce internazionale a difesa dei diritti dei bambini in situazioni di conflitti armati. Così è nato Office of the Special Representative of the Secretary-General for Children and Armed Conflict.

 
Il vostro compito dunque è quello di far approvare leggi in difesa dei minori coinvolti in situazioni di conflitto?
Sì. Monitoriamo le dimensioni della piaga rappresentata dai bambini soldato e valutiamo gli strumenti legislativi nazionali e internazionali per combatterla. Ci occupiamo poi di richiamare l’attenzione dei media e della comunità internazionale su questo drammatico problema. Ma l’obiettivo principale resta quello di create una rete di ong, istituzioni e agenzie in grado di garantire protezione e riabilitazione ai bambini coinvolti in questo dramma e l’applicazione degli strumenti normativi a livello locale.

 
Quali sono gli strumenti oggi a disposizione della comunità internazionale per combattere questa piaga?
In primo luogo lo Statuto della Corte Penale Internazionale che considera un crimine di guerra la coscrizione e l'arruolamento di bambini di età inferiore a 15 anni e la loro partecipazione attiva alle ostilità, sia che essi vengano impiegati da eserciti regolari sia da milizie armate. Il problema in questo caso è che la Corte Penale è sentita da molti paesi come una pericolosa intrusione nella sovranità nazionale e nelle gestione dei loro affari di guerra e quindi non sempre incontra la collaborazione dei governi coinvolti in operazioni belliche.
Un altro importante strumento legislativo è il Protocollo Opzionale alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia - che alza l’età minima per l’arruolamento a 18 anni - adottato nel 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e d’allora aperto alla ratifica di tutti gli stati (e da allora già ratificato da circa 70 paesi). È poi possibile fare ricorso alla Convenzione 138 dell’ILO secondo la quale il coinvolgimento in conflitti armati va considerato lavoro a rischio e quindi non accessibile per i minori di 18 anni. Infine c’è la Risoluzione 1539, approvata da pochi giorni dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la quale si chiede al Segretario Generale di approvare entro tre mesi un piano d’azione per un monitoraggio sistematico e completo del dramma dei bambini soldato che possa costituire la base per l’attività coordinata di Governi, amministrazioni locali e organizzazioni non governative.

 
Una scrivania al Palazzo di vetro: cosa vuol dire lavorare per le N.U.?
Per me è un’opportunità per conoscere e lavorare con i vertici del diritto internazionale. È un lavoro entusiasmante che mi permette di fare del mio meglio per aiutare tante persone nel mondo.
A volte, quando la burocrazia diventa un freno eccessivo, mi dico che forse sarebbe stato meglio fare un’altra scelta; operare sul campo a diretto contatto con chi ha bisogno di aiuto. Poi però mi rendo conto che da qui, sollecitando l’attenzione dei governi su certe tematiche, definendo nuovi strumenti legislativi e d’informazione, posso fare di più proprio fornendo a chi è sul campo, alle ong e a tutti gli operatori di pace strumenti più efficaci per la lotta all’ingiustizia e alla disuguaglianza.